Una sentenza del Consiglio di Stato in tema di valutazione

  Consiglio di Stato – Sezione quinta – decisione 4 aprile-19 settembre 2006, n. 5476
  Presidente Santoro – Estensore Farina
  Ricorrente Regione Lazio

 

  

  1. Il ricorso in appello n. 3951 del 1999 è proposto dalla Regione Lazio. È stato notificato in data 14 aprile 1999 al sig. Giuseppe Torti ed alle Aziende Usl ed ospedaliere menzionate in epigrafe. È stato depositato in data 29 aprile 1999.
  2. È oggetto di appello la sentenza del Tar del Lazio, Sezione prima bis, 369/99, pubblicata in data 11 febbraio 1999, con la quale è stata annullata la deliberazione del Consiglio regionale del Lazio n. 184 del 16 maggio 1996, con la quale all’attuale appellato è stata negata la “conferma” come direttore generale dell’Ausl di Frosinone.
  3. La Regione denuncia più ragioni di erroneità della decisione del Tar.
  4. La persona intimata si è costituita in giudizio con memoria depositata il 31 maggio 1999.
  Ha poi rilasciato procura al difensore menzionato in epigrafe, in data 28 febbraio 2006, che ha, infine, prodotto memoria di confutazione del ricorso in appello il 23 marzo 2006.
  5. Nella camera di consiglio del 1° giugno 1999, è stata accolta, con ordinanza della Sezione quarta, la domanda di sospensione degli effetti della decisione del Tar.
  All’udienza del 4 aprile 2006, il ricorso è stato chiamato per la discussione e, dopo, è stato introitato in decisione.

 

  

  Diritto

 

  

  1. Viene in decisione il ricorso in appello avverso la sentenza n. 369 del 1999, con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione prima bis, ha annullato la deliberazione del consiglio regionale del Lazio, in data 16 maggio 1996, con la quale è stata negata la conferma del direttore generale della Azienda Usl di Frosinone.
  Il provvedimento è stato adottato in applicazione dell’articolo 1, comma 6, del Dl 512/94, convertito nella legge 590/94. La norma dispone che, trascorso un anno dalla nomina dei direttori generali delle aziende “unità sanitarie locali” e delle aziende ospedaliere, le regioni provvedano alla verifica dei risultati “amministrativi e di gestione ottenuti, secondo i criteri e i principi recati dalla normativa vigente” e dispongano, di conseguenza, con “provvedimento motivato, la conferma dell’incarico o la risoluzione del relativo contratto”.
  L’atto impugnato col ricorso introduttivo, sulla scorta di una precedente deliberazione della giunta regionale – n. 783 del 15 febbraio 1996 – e della istruttoria compiuta, dispone appunto nel senso della risoluzione del contratto.
  2. La sentenza del Tar ha concluso per la fondatezza dei motivi proposti dal ricorrente, nella parte in cui ha lamentato “l’assenza di criteri e parametri oggettivi di valutazione”.
  La conclusione riportata segue all’esame dell’attività compiuta dagli organi regionali:
  con predisposizione di un insieme di informazioni significative per la verifica, da parte della giunta;
  con istruttoria curata da tutte le strutture del competente assessorato alla salvaguardia ed alla cura della salute;
  con presumibile intento dell’amministrazione “di attenersi a criteri di valutazione obiettivi ed omogenei”;
  ma senza la predeterminazione “degli anzidetti criteri di valutazione omogenea”, in assenza di “qualsiasi definizione del livello di rilevanza attribuibile ai diversi indicatori” raccolti;
  e poiché la sola eccezione delle valutazioni predisposte dal direttore dell’osservatore epidemiologico ragionale (Oer) non era sufficiente a concludere diversamente, perché questi, pur essendosi posto il problema di introdurre elementi di misurazione, mediante attribuzione di punteggi: a) non aveva reso ragione dei criteri seguiti per determinare il livello dei punteggi stessi, b) ed inoltre aveva egli stesso espresso riserve, nella sua seconda nota del 17 gennaio 1996, “circa la rispondenza allo scopo delle elaborazioni effettuate”,
  con l’ulteriore osservazione che la Regione “non ha predefinito gli obiettivi da raggiungere, cosicché … appare incongruo che … i risultati conseguiti nella singola azienda siano apprezzati come una variabile totalmente indipendente da quelli verificatisi generalmente in ambito regionale”.
  I giudizi espressi, svincolati da ogni riconoscibile parametro oggettivo, sono stati perciò definiti, dal primo giudice, inadeguati ed incongrui.
  3. Il ricorso in appello, muovendo dalla norma riguardante la verifica da fare – e che si è sopra riferita – pone in rilievo:
  che è esclusa ogni comparazione tra le varie aziende ed i vari direttori generali;
  che la decisione è l’effetto di due equivoci:
  a) che l’insieme delle informazioni richieste (la “griglia”, secondo la terminologia dell’amministrazione) esigeva una omogeneità “tra i dati della ricostruzione amministrativo contabile che ciascun interessato avrebbe dovuto fornire”;
  b) che la preoccupazione del Tar di lasciare spazio ad una discrezionalità troppo ampia: è connessa con un principio che vale per i procedimenti concorsuali o di gara, vale a dire la predeterminazione dei criteri; e non era esatta, perché, per legge, i risultati raggiunti dovevano essere verificati “secondo i criteri ed i principi recati dalla normativa vigente”, sicché va fugato un dubbio circa una discrezionalità tendenzialmente arbitraria;
  che si è di fronte ad un atto di alta amministrazione, espressione della potestà di indirizzo e di governo delle regioni nel settore sanitario, sicché è logico che la legge non richieda “quella astratta predeterminazione, cui la sentenza ha fatto invece erroneo riferimento”;
  che il provvedimento è motivato in modo conforme alla legge con espressione di un giudizio complessivo di inadeguatezza, rispetto alle “aspettative di cambiamento riposte” in tutti i nuovi direttori generali delle Aziende in discorso.
  4. L’appello non merita adesione.
  È palese che, nonostante che la legge stabilisca che la verifica dei risultati dell’attività annuale debba farsi “secondo i criteri e i principi recati dalla normativa vigente” (articolo 1, comma 6, Dl 512/94), tali parametri non siano espressamente enunciati. Con la conseguenza che spetta agli organi, chiamati ad esprimere le definitive valutazioni sugli operati dei direttori generali delle Aziende in discussione, desumere dalla legge – che stabilisce i poteri dei medesimi direttori – i criteri sui quali modellare gli apprezzamenti da condurre sulle loro gestioni annuali.
  È altresì pacificamente accolto in giurisprudenza, perché è un portato logico altrettanto generalmente accolto, che un giudizio in tanto può rispondere ad obiettività, in quanto è espresso sulla scorta di raffronti a misure predeterminate, e queste quanto più possibili legate ad elementi definiti nella loro materialità (come a determinati risultati di bilancio, a tempi medi di erogazione di prestazioni sanitarie, a rapporti tra popolazione assistita e consistenza delle risorse umane e strumentali apprestate per fornire il servizio, ma solo per citarne alcuni).
  La dovizia di elementi vari, raccolti in sede di istruttoria dalla amministrazione procedente, dimostra già questa carenza nella disomogeneità dei dati e degli elementi considerati. Questi, alla stregua di parametri diversi, possono condurre, sul piano della interpretazione dei giudizi espressi, a non chiare o non precise o non percepibili valutazioni correlative agli elementi messi in risalto nei giudizi stessi. Sicché i giudizi sono inficiati non solo sul piano giuridico, con riguardo alla esigenza di una motivazione che risponda ad obiettività ed a corrispondenza con l’interesse pubblico da perseguire in concreto, ma anche sul piano dei profili di valutazione cosiddetti “aziendalistici”. Connessi, vale a dire, col nuovo carattere impresso alle aziende improntato alla economicità della gestione, poi espresso in modo esplicito, con la riforma di cui al D.Lgs 229/99, ma già desumibile dal sistema come era stato, all’epoca del provvedimento impugnato, definito con il D.Lgs 502/92, nella sua originaria formulazione.
  E che dovessero valere i criteri che presiedono alla valutazione, nell’ambito delle imprese, della gestione dei responsabili, si trova dimostrazione proprio nella norma della cui applicazione qui si discute (articolo 1, comma 6, Dl 512/94) che ha introdotto la verifica annuale dei risultati della attività dei direttori generali delle aziende sanitarie.
  Ne segue che, in concreto, è mancata, nella specie, come ha esattamente messo in luce il primo giudice, la predeterminazione, su basi omogenee, dei criteri in forza dei quali condurre le valutazioni. Ma anche che il giudizio è improntato, in talune sue parti, a formulazione generica, ad espressione relativamente vaga, a conclusione non chiaramente compatibile con le risultanze dell’istruttoria: come è stato concretamente indicato dal Tar nell’ultima parte della motivazione della sentenza impugnata (a proposito, rispettivamente, della “strategia di riferimento per l’avvio del processo di riorganizzazione aziendale”, del possesso dei necessari requisiti del responsabile del centro di assistenza domiciliare e di problemi di gestione delle risorse umane non meglio definiti, e infine a rilievi desunti dalla relazione trimestrale dei revisori, dopo l’affermazione che le relazioni non erano state fatte pervenire).
  In conclusione, l’assenza di obiettivi previamente assegnati, e puntualmente definiti per la Ausl, e l’assenza di prefissazione di elementi omogenei di valutazione dei risultati di gestione raccolti e, infine, la genericità o le altre inadeguatezze, sopra delineate, di taluni apprezzamenti espressi, conducono a condividere il giudizio, dato dal primo giudice, sulla illegittimità della deliberazione impugnata in prime cure.
  6. Ne segue la conferma della sentenza appellata.
  7. Vi sono motivi per disporre la compensazione delle spese del grado.

 

  

  PQM

 

  

  Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, respinge l’appello.
  Spese compensate.
  Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.